“Ci sono
cose conosciute e cose sconosciute: fra queste vi sono delle porte. Le porte
della percezione che aprono all’infinito”diceva William Blake.
Internetmania
è un libro dalla portata dirompente perché esce fuori da ogni palinsesto e
preformattazione costituita e imposta per corrodere altari di vanaglorie e
futilità. Il nuovo libro di Nando Minnella mette alla berlina internet e l’instant messaging come l’estremo
rampollo del progresso tecnologico delle società c.d. civilizzate che ormai danno
solo largo spazio a frammentazioni, disconnessioni orgasmiche deviate del tutto
e subito. Dietro tanto rumore c’è un problematico dubbio di comunicazione.
Dietro tanto parlare e perdersi di informazioni e big data, in questo grande sfogatoio multimediale c’è una reale
volontà di darsi e ricevere? c’è una cultura dello scambio? A quali bisogni
sopperisce l’affidarsi a questo strumento informatico?
Siamo una civiltà di
nomadi, di “naufraghi mentali, scippati del futuro,
condizionati dall’eterno presente”, eterni
transeunti catturati dal mistero dell’ignoto, alla ricerca di noi, di altro da
noi, di improbabili “fattori x” che ci illuminino su parti del nostro sè che
abbiamo oscurato a lungo o che ci portano a dipanare matasse accumulate nel
tempo. Siamo inconsapevoli Peter pan eterni nell’inconsapevolezza di aver
ucciso il bambino che vive dentro di noi. Ma alla ciclicità, alla cultura del reale
progresso, quello che arricchisce interiormente e fa accrescere il nostro
benessere psico-fisico ed emozionale, si sono sostituiti andamenti
schizofrenici, vivendo il brivido di eccitanti altezze per sprofondare poi in voragini abissali e incespicare in perigliose rotture del
sistema. Siamo alla debâcle. La morte dell’anima. Non lasciamo vivere più le
nostre emozioni crogiolandoci in platinati idilli di felicità fulminee. Non ci
si scava più dentro, siamo incapaci di vivere
dentro noi stessi (solo in inglese si dice alone, all one, tutti uno). Viviamo e ci relazioniamo digitando, contattiamo ciò che “viaggia”. L’epoca dei
nomadi digitali e il nuovo boom
economico sono specchio di un mondo ”in fuga”. Ma siamo realmente
capaci di darci all’altro o forse ricerchiamo solo un ideale di noi stessi e
rifiutiamo i rapporti reali per mascherare dietro un monitor o un cellulare
esclusivamente le nostre pulsioni, i nostri bisogni dimenticando che ognuno è
un universo a sè stante da esplorare e con cui relazionarsi? Abbiamo realmente conservata intatta la capacità di uscire per poi rientrare, di avere dei filtri semipermeabili nella comunicazione per essere sempre presenti a noi stessi? Gli altri siamo noi. Siamo tutti carcerati dell’altro nel momento in cui non lo lasciamo vivere nella nostra interiorità e
che stentiamo ad accettare, in continua metabolizzazione di cio’ che e’ diverso
e difficilmente comprensibile e collimabile con la nostra personalità e la
ricerca di una placentica simiglianza. L’enfer
c’est l’autres. L’altro ci fa paura, il diverso perché incarna l’ombra non vista di noi
stessi, le bestie oscure interiori che non abbiamo imparato a conoscere.
La rivoluzione
tecnologica ha scombussolato il nostro modus
vivendi proiettandoci in fredde surrealtà nell’infantile illusione che ci
possa essere da surrogato o soddisfare i bisogni che non sappiamo vedere,
riconoscere, appagare nelle nostre bieche esistenze. E’ una generazione sospesa, che vive in bilico.
Si è in contatto sempre con tutti in ogni momento, in realtà con
nessuno, tutto si ferma in superficie, tutto si riduce ad essere uno sfogatoio
collettivo. Non c’è più la capacità di ascolto. Il vuoto resta. Ecco che
nascono fobie, disturbi ossessivi-compulsivi, maniacalità.
La web mania e il
feticismo tecnologico sono sintomatologia di un malessere di una società liquida. Vuoto dell’anima e culto
dell’evasione.
L’internetmania è un
fenomeno che accettiamo o che rigettiamo? si questiona sulle involuzioni o
sulle evoluzioni che esso ha portato ma è innegabile che non possiamo più farne
a meno, schiavi come siamo del tempo e dei ritmi veloci delle nostre società
capitalistiche e degli indiscutibili vantaggi che esso ha portato per
contingenze pratiche in questi termini e quello dell’abbattimento dei costi.
Internet risponde perfettamente alle nostre esigenze in un sistema malato e i
social e gli smartphone sono fonte di alienazione e dipendenza che hanno
assunto una valenza affettiva,
inerente “la sfera dell’essere” relazionale e individuale. S’ingrossa sempre
più l’esercito di cercatori di una felicità artefatta quanto aleatoria. Gli scenari aperti dal web investono quasi
tutti gli ambiti delle attività umane, rivoluzionano i processi di
comunicazione e introducono nuovi modelli esperienziali, relazionali e
cognitivi.
Quello che si discute
è la reale capacità di comunicare e mettersi davvero in gioco e in relazione. Il
linguaggio è ridotto ai minimi termini ed è eliminata la grammatica del
linguaggio non verbale somatico-gestuale. Il fenomeno dell'alessitimia, dal greco “a-” privativa, mancanza,
“lexis” parola e “thymos” emozione: letteralmente «non avere le
parole per le emozioni», che in psicologia costituisce un deficit della consapevolezza emotiva, palesato
dall'incapacità di mentalizzare, percepire, riconoscere e descrivere
verbalmente i propri e gli altrui stati emotivi, è dilagante. Il tipo di
comunicazione instaurata non è solo antisimbolistica, fatta cioè di musicali
rievocazioni intuitive di emozioni e sensazioni, muovendosi sulla linea sottile
della trascendenza, sul confine tra la realtà e il sogno, ma anche
antidialogica. In questo libro-denuncia si intende rafforzare, contro il
gregarismo omologante, tutte le voci fuori dal coro che si rifiutano di
asservire le reali istanze umane alla mercé dello sciacallaggio e depredamento
ipertecnologico.
Si
comunica in assenza, si costituiscono rapporti labili, precari, inquinati
dall’ipertrofismo edonistico, dal narcisismo digitale, dal culto del
proprio io e da modelli consumistici alienanti, “privi
di luna e poesia…siamo alla ricerca di eroi e poeti anche solo per un attimo per i nostri sogni esauriti, marciti”.
Si creano avatar o molteplici Man Machine
interfaces, si costruiscono personalità fittizie che ci rappresentino e
spesso proiettano desideri frustrati in un’epoca in cui lo spazio ci si offre sotto forma di relazioni di dislocazione, il cyberspazio, “una specie di maschera
che costituisca l’interfaccia fra se stesso e la società, il dannato e complicato mondo là fuori, si
recita a soggetto in un set per
le performance apposta per noi”. ”L’io
virtuale – secondo lo psichiatra Pasquale Romeo – a volte assume delle caratteristiche
ipertrofiche a tal punto da soppiantare l’Io reale”, incappando cosi in rischi
di frammentazione, disgregazione dell’io, disturbi d’instabilità e
disregolazione emotiva, fobie, sintomi dissociativi e crisi esistenziali,
dipendenza, passando dalla tossicofilia alla tossicomanialità dovuta al bisogno
ineludibile di stare sempre connessi e collegati. Il fenomeno è divenuto
talmente allarmante che sono sorte le prime cliniche per webtossici dediti ai
giochi di ruolo interattivi on line, chat o patiti di social network, gioco
d'azzardo, siti porno e quant’altro. Alcuni ragazzi sono così disturbati da
divenire aggressivi e, producendo questi ormai divenuti “mezzi sensoriali,
estensione delle nostre anime e delle nostre menti”, gli stessi effetti degli alcaloidi,
sono ridotti in stato di schiavitù psicofisica con veri e propri sintomi di
astinenza. La questione legata a una dipendenza di questo tipo sta nel
disordine di una personalità fragile, nell’assenza di un tessuto sociale e
culturale capace di accogliere e far crescere. Ed è proprio in queste
contraddizioni che i social hanno la meglio supplendo le carenze e occupando i vuoti che si son creati
all’interno dell’individuo e nella società.
Personalità
dipendenti e scompartimentate, dunque, in cui ci si spoglia senza veli nei
blogs in cui si rivelano anche inconfessabili intimità certi dell’assoluto
disinteresse altrui e ci si finge femmes fatales o latin lover di primo rango
nelle chat erotiche o “ vetrinizza” nei social networks ingurgitando così il
nostro giornaliero intake
psicofarmacologico. La dipendenza deriva dal fatto che il web rispecchia
esattamente quella sordità emotiva esistente nella realtà ma è uno
spazio-discarica in cui ci si appaga facilmente senza correre il rischio di pericolosi
rebounds e che ci illude di sfuggire alla solitudine, mettendo in piazza se
stessi nella speranza che la pubblicità dia un ascolto, che da un lato odiamo e
dall’altro tanto ricerchiamo. La condanna dell’internetmania è una condanna
delle storture che il capitalismo ci ha portato e in cui tenta di fagocitarci e
la comprensione del malessere profondo che ci fa finire direttamente in mano agli psicologi sperando in poteri taumaturgici nella ricerca du equilibri impossibili per chi non vuole essere "tagliato fuori" da questa società a ingranaggi. E' la risultanza di un mondo che rema contro il sentire della coscienza collettiva. Per di più, si fa preda del nostro disagio e nella convinzione che il web sia gratis senza renderci conto che il privato è pubblico e i nostri dati vengono spiati dal grande Echelon, schedati e manipolati ai fini del webmarketing e dello sfruttamento oligopolisticodella net-economy, delle ricerche di mercato che servono alla produzione di merci e servizi ad hoc del commercio digital-globale mascherato da filantropia.
“Internetmania”
di Nando Minnella è espressione di un pensiero critico, vuole essere “diverso”,
sovvertire le artificiose reductio ad
unum che ci annichiliscono i cervelli e congelano le emozioni, suggerendo la cultura dello scambio a quello
dell’imposizione della cultura dominante che ci viene sapientemente instillata
e volgarmente offerta nella promessa di pseudo felicità di paradisi fittizi ma
in realtà asserviti al profitto e alle brame utilitaristiche di pochi in una
prostrante quanto patetica incensazione del dio denaro. Si è dinnanzi a
un’imperante mentalità fallocentrica che mette in crisi i valori dell’esistenza
meglio accolti nella figura della donna, nella cultura della ricezione e
dell’accoglienza, dell’apertura all’altro contro la cultura della predominanza
e della sopraffazione, la presunzione di conoscenze assolute contro la logica
del dialogo, del farsi dono di sé con duttile e analitica criticità nel segno
della maturazione e della crescita. Sarebbe auspicabile infatti piuttosto la comprensione e il confronto col
diverso, non la sua scissione e frantumazione, concepire l’uguaglianza nella
diversità e la diversità dell’uguaglianza,
passare dalla civiltà dell’Uno
alla civiltà del molteplice.
“L’uguaglianza vive nel rispetto del diverso non nella
tirannia degli uguali”.
Sulla base dell’assunto che il Web sia uno strumento
sterminato di conoscenza” in cui si annida un guazzabuglio di informazioni da
decodificare, selezionare e rielaborare, si ritiene infatti che si siano
raggiunte le più alte vette della democrazia, nella considerazione che si
raccolga consenso cliccando un “mi piace” e che questo costituisca un “We the people”! Si sta deturpando in ogni modo il concetto
di bellezza, che sta nel desiderio, nei sogni, nell’armonia, nelle gioie del
cuore e della percezione, nell’amore e nell’ascolto…anche dei silenzi. C’è da
chiedersi se essa abbia possibilità di salvezza in questo mondo. C’è forse per
chi ha speranza in una possibilità di una sua redenzione mentre restiamo
assurdamente inerti dinnanzi al deragliamento totale del suo andamento verso
altre rotte ed altre direzioni. Che ognuno coltivi questo seme di divinità
nell’angusto ambito del proprio particolarismo non basta. E’ piuttosto
necessaria una sua trasmissione sempre più reale e concreta, una sua
espansione. Si può informare il mondo a canoni di bellezza che riflettano la
complessità dei colori dell’anima e l’armonia di una capacità di relazione
arricchente e comparativistica, in cui ognuno tenga ben presente che la libertà
di ciascuno di noi finisce dove comincia quella dell’altro e rammenti sempre il
valore della dignità dell’uomo nel suo tempo e nel suo spazio avendone
rispetto.