Volenti o nolenti
Sei stato il simulacro di un’energia che disperdo.
Depositario di un sentire che ci ha unito a tratti
per poi esulare da noi.
Troppo odio, come come troppo, amore uccide,
se tu non ci sei.
Attraccati a un molo
Che sfuggiva la solitudine
Sfumato in incomprensioni e idiosincrasie
Sei stato compagno di alienazioni mentali e corporali,
puntuale concretizzazione di temute fobie inconsce
che prendevano forma uccidendo la speranza precedente ogni nostro incontro
e la spensieratezza che speravamo puntualmente di raggiungere
insieme,
dilaniando le nostre sensibilità e alterando le nostre
percezioni.
Germogli spogli,
frastornati in
emozioni ebbre e dionisiache
Da cui ci siamo fatti consumare
e che abbiamo
attraversato fino in fondo.
Ci siamo donati. Ci siamo feriti.
Nelle nostre nudità indifesi.
Uniti nella vulnerabilità,
Divisi nella trasparenza.
Morendo assieme ogni giorno sempre di più,
balbettando un addio a un mondo
disperso in un eco sordo
ma che da qualche parte
lontano
imperterrito e
indifferente continua a girare.
Abbiamo detto addio persino a noi stessi,
Alla fecondità dei cuori, agli involi
dell’immaginazione,
facendo tristemente da contraltare la sterilità dei
corpi.
Non abbiamo potuto lasciare traccia nella nebula del nulla
di quello che di puro e
sincero c’è stato,
Seppur mascherato, nascosto o rinnegato, seppure folle.
Cosicchè siamo ritornati da dove avevamo lasciato,
senza lasciar nè frutto, né la fermezza
di memorie nitide.
Dietro di noi solo le briciole di un’insana passione,
il ricordo del calore dei nostri corpi avvinghiati
E le macerie di ciò che le nostre collisioni hanno
prodotto,
lasciando tutto cosi com’è,
Come una parentesi irreale,
Desiderata tante volte e contro cui tante altre
scalpitavamo contro,
Cercando di afferrarci
talvolta
senza mai riuscirci
scivolando via dentro noi stessi
in quello che di noi avevamo disegnato, ricamato, dissolto e mal comunicato.
Ognuno conserva adesso ciò che ha voluto o ha potuto,
cercando costantemente di rimuovere mostruosità
che
eravamo ignari di poterci infliggere
per salvare sprazzi di ingenuità interiore
e della verginità del cuore
che non credevamo neppure di avere o celavamo a noi
stessi,
un’eterea dolcezza da cui ci siamo fatti stregare
che abbiamo gelosamente e maldestramente cercato di
preservare
e che ci tiene idealmente ancora uniti nonostante
tutto
seppur solo nell’intimità dei pensieri,
per non farci definitivamente fuori.
Più amore che chaos o più chaos che amore?
Lei o lui?
Lui...e lei?
Lui o lei?
Lei smarrita, persa...
in the middle of nowhere...
Ci siamo spinti troppo oltre,
In una strada senza ritorno...
Meglio non voltarsi più indietro, rimporre il gioco delle parti
e le parti del gioco.
Butchers of ourselves
By your side or against you
You have been the simulacrum of an energy that I waste.
Depository of a felling that united us in stops and starts to fall outside
later from us.
Too much hatred, as too much love kills
If you are not present to yourself.
Mooring to a dock
That escaped solitude,
Faded away in incomprehensions and idiosyncrasies,
You’ve been mate of mental and corporal alienations,
Exact concretization of averted unconscious phobias
That took shape killing the hope that preceded each of our dates
And the lightheartedness that we desired to reach maybe together,
tearing apart our sensitivities and altering our perceptions.
Naked sprouts, dazed in drunk and dionysian emotions
By which we let us consume and we get through all the way,
We’ve given ourselves to each other. We have hurt ourselves.
In our helpless nudities.
Dying together more and more everyday,
stuttering a firewall to a world that undaunted and indifferent kept on
turn around,
and even to ourselves.
To the fecundity of the hearts and to the take-off of the imagination
Sadly counterbalanced the
sterility of the bodies
With no chance to have the opportunity to leave a mark of what of pure
and sincere there’s been,
Even if in disguise, hidden or disavowed.
So that from the confused nebula of nothing, that we had left, we came
back,
neither leaving results, nor the steadiness of limpid memories.
Behind us only the crumbles of an insane passion,
The remembering of the warmth of our fastened bodies
And the debris of what our brawls have produced,
leaving everything how it is,
as an irreal bracket,
longed for sometimes and against which some other we pawing against the
ground,
trying to grab ourselves sometimes never succeeding in that
let slip away from ourselves
in what inside us we have drawn, embroidered, dissolved and badly
communicated.
Each of us keeps now what had wanted or could,
constantly trying to remove monstrosities that we were unaware to be
able to inflict us
to save flashes of interior naivety
and of the virginity of the heart
that we even didn’t know to get or concealed to ourselves,
an etereal sweetness from which we have been bewitched
that we have tried to preserve with jealousy and awkwardly
and the ideally keep us, whatsoever, united
even if just in the intimacy of the thoughts,
to not take us out.
We have pushed ourselves too much further,
In a way with no return.
We can't anymore turn ourselves back again.