Friday, June 17, 2016

Running train - Treno in corsa




Running train

 

I’m jumped awkward on your high-speed train

On the deafening screeching of your rails

With a heart that beats for the shivering of escape.

I lean myself bewildered and distracted on an old little window

That I push down to open a crack

I hold tight its handle

Feverish and wobbling on the border line

Between the inside and the outside

At the mercy of you

Held up just by an indomitable desire of freedom.

I breath the wild green and abandoned landscapes

Watching,

curiously in the distance

and softly in wonder,

The slow swarming of distant cars

In the placidity of the night.

Under the rain

The buzzing of this unassuming and industrious ant-nest,

Wet wheels under the eyelid of a sleeping town.

We will arrive to our destinations, each one to his own,

With incredulity and worries,

Painted of life and dazzling of happiness.

 

Treno in corsa

 

Sono zompata su maldestra sul tuo treno in corso ad alta velocità

Nell’ assordante stridore delle tue rotaie

Con un cuore che pulsa per il brivido dell’evasione.

Mi adagio frastornata e distratta a un vecchio finestrino

Che si abbassa per aprire un varco

In queste fumose carrozze stagnanti sempre delle solite cose.

Ne afferro la maniglia,

febbrile barcollante sulla linea di confine

tra dentro e fuori

in balia di te

sorretta soltanto da un’indomita voglia di libertà.

Respiro il verde selvatico e paesaggi abbandonati

Osservando,

curiosamente nella distanza

E sommessamente nello stupore,

il brulicare lento di macchine lontane

nella placidità della notte.

Sotto la pioggia, il brusio di questo formicaio dimesso e solerte,

ruote bagnate sotto le palpebre di una città che riposa.

Arriveremo alla nostra metà

Ognuno alla sua,

con incredulità e affanno,

pennellata di vita e abbagliante di felicità.





A withered youth - Gioventù sfiorita


A withered youth

 

Skin of alabaster

you resound of drops of light

as the dawn that shy dash away the shadows of the night.

Immaculate grace,

astonish, gentle and misunderstood,

the pernicious and treacherous glances,

moving through the intuition of a transparent heart

to soak of yourself my vermillion lips,

velvety and trembling,

that hardly disclose themselves

from the bottom of my obnubilated and narrow cell

where are bundled up just the ruins of myself,

crumbled and lost,

in the collective absent-minded imperception…

Tropical cobalt blue your dreams look like mines.

In the greyness of our cold Orkneys

we elapse our days and keep busy our hands.

Withered youth…

your ataraxic silence and detached absence

flings open the doors of the imaginary

in the overflow vacuous of the illusions.

 

Gioventù sfiorita

 

Pelle d’alabastro

Risuoni di gocce di luce

Come l’alba che timida scaraventa via le ombre della notte.

Grazia immacolata,

stupisci, gentile e incompreso,

gli sguardi perniciosi e infidi,

attraversando l’intuito di un cuore trasparente

per intridere di te le mie vermiglie labbra,

vellutate e tremanti,

che si dischiudono a stento

dal fondo della mia cella obnubilata e angusta

in cui sono affastellate solo delle macerie del mio Io,

sgretolato e perso,

nella collettiva distratta impercezione…

Blu cobalto tropicali i tuoi sogni somigliano ai miei

nel grigiore delle nostre fredde Orcadi

avvicendiamo i nostri giorni e affaccendiamo le mani.

Gioventù sfiorita…

Il tuo atarattico silenzio e distaccata assenza

spalanca le porte dell’immaginario

nel tracimare vacuo delle illusioni.


Narrow opening - Spiraglio





Narrow opening

 

In your arms

a narrow opening of serenity from the anguish,

variegated shoot of life.

Plushy warmth of a friend,

subtle suavity of a mother,

Sense of indistinct joy in the musical virtuosity of the lovers.

Exuded reborn in the reassurance,

quietness after delirium,

distension from tearing putrefaction,

violences of the psyche and decay of the body.

Balm in the devastating crisis.

Ephemeral support of a crazy end of a skein

from your plump lips I suck the perfumed delight

of the pink roses and joyful wisteria in bloom.

You’re the fickle hope of an instant,

of a paradise that doesn’t exist.

 

Spiraglio

 

Tra le tue braccia

uno spiraglio di serenità dall’angoscia,

variopinto virgulto di vita.

calore felpato di un amico,

suadenza sottile di una madre,

senso di gioia indistinta nel virtuosismo degli amanti.

Essudata rinascita nel conforto,

quiete dopo il delirio,

distensione da squarcianti putrefazioni,

violenze delle psiche e disfacimento del corpo.

Balsamo nella crisi devastante.

Effimero appiglio di un bandolo impazzito.

Dalle tue polpose labbra suggo la profumata delizia

delle rose rosa e dei festosi glicini in fiore.

Sei la labile speranza di un istante,

di un paradiso che non c'è.


Sunday, May 15, 2016

Vertigine instabile - Upsetting vertigo







Alla fine della mia corsa
Coi panni lisi e sporchi
vomitata via dagli scorticati mulinelli
Di una vita fragorosa e incerta
Scaraventata all’angolo di un ring
Fragile e indomita
Alla conquista di uno spazio
Di paradisi onirici
Mi rifugio nel buffo surrealismo in cui mi esprimo
E trova forma
La mia dimensione immaginata e sterile
E mi scaldo al focolare della tua passione assolata e ardita
Ammaliante e felino
Arguto e tagliente
Scolpisci i solchi delle sfumature dei miei colori cangianti
E mi avvolgi nella melodia delle tue sottili seduzioni
Sfiorando i limiti del mio equilibrio liquido
Come i tasti di un pianoforte
Che profondono in digressione
Suoni lievi e gravidi
Di emozioni penetranti e suadenti
Vertigine instabile
Che incrini le fondamenta dei miei scricchiolanti edifici
Gioco di variabili
Voglia di un’infanzia mai avuta
E di tenerezza infinita
Porti in dono anelli
Per racchiudere i bordi scontornati
Delle piume di un pavone di stile
Orgoglioso e stanco
Per perturbare inquieto e sollazzare dolce
Il mio autoreverenziale narcisismo
Per raccogliere morbido
Le ceneri di una precarietà volatile e sconnessa.

Upsetting vertigo

 

At the final point of my run

With worn and dirty clothes

Vomited away from the flayed whirls

Of a roaring and uncertain life

Dashed away to the corner of a ring

fragile and indomitable

to the conquest of a space

of oneiric paradises

I find refuge in  my droll surrealism in which I express myself

And find shape

My imagined and barren dimension

And I warm myself to the fire of your sunny and daring passion

Bewitching and feline

Witty and sharp

Engrave the grooves of the shadings of my changing colours

And enclose me in the melody of your subtle seductions

Caressing the limits of my liquid equilibrium

As the keys of a piano

that spread out in digression

Light sounds,

soaked by penetrating and tempting emotions

Upsetting vertigo

That breaks down the foundations of my creaky buildings

Game of variables

Desire of a never had childhood

And of infinite tenderness

You bring with you rings as sign of gift

To hold the silhouetted edges

Of the feathers of a stylish peacock

Proud and weary

To perturb, restlessly, and to amuse, sweetly,

My self-referential narcissism

To gather softly

The ashes of a volatile and disconnected precariousness.

Riflessi lunari - Lunar reflections (from "Life's blooms")








Immacolato incastro di diamanti

Nido di luce amplificata e vitrea

Perfetta congiunzione di riflessi cangianti

Nuda regina della notte danzi e spandi il tuo bagliore argenteo

Vestendoti solo di una giarrettiera

In una provocante impudicizia

Azzardata e audace

Che ti piace sfilare ribelle e impunita per le tue minuscole stelle

La più luminosa non è tra quelle…

Ieraticità da profanare

A caccia di compagnia,

di un amore da sfamare o da sfatare

tra bramosia e euforia

incanto e magia

nel suono della notte eleggi l’unica via

nel suo profumo la più dolce eutanasia.

Lunar reflections

 

Immaculate joint of diamonds,

nest of amplified and vitreous lights,

perfect conjunction of changing reflections,

naked queen of the night

you dance and spread your glimmer glare

dressing just a thread of black pearls,

in a provocative indecency,

hazardous and audacious,

that you like ripping off,

rebel and unpunished

for your tiny stars,

even knowing that the brightest one is not among them…

solemnity to profane

in hunt of company,

in a love to feed or to desecrate,

between lust and euphoria,

enchantment and magic,

in the sound of the night you elect the only possible way,

in its perfume the sweetest euthanasia.

Tuesday, January 19, 2016

The wing of the rapacious bird - L'ala del rapace





The wing of the rapacious bird

 

Drunk of melancholy

I move along as an equilibrist on the cord

At a footstep from the abyss

Lost in the variable of our fantasies

Always in an unstable balance between the being and the becoming

In the incessant and childish attempt to catch a hem of your wing

Upon which I would like to linger.

Rapacious bird on flight with no destination

Voluptuous and tough

Bold and turgid.

Your feathers are my poetry

That sweep away the torpor of the town

exuding an unchanged secular boredom.

I would catch your intimate mystery,

The essence of your eternal metamorphosis

To always remain in an imperishable nascent state

To erase myself in it

and to disappear forever away from here 

to join you and land to our enchanted idyllic Olympus

residing just in my dreams.

 

L’ala del rapace

 

Ubriaca di malinconia

Avanzo come un’equilibrista sul filo

A un passo dall’abisso

Persa nell’incognita dei nostri sogni

Perennemente in bilico tra l’essere e il divenire

Nel tentativo incessante e bambino di acciuffare un lembo della tua ala

su cui mi piacerebbe adagiarmi.

Rapace in volo senza meta

Voluttuoso e possente

Spavaldo e turgido.

Le tue penne sono la mia poesia

Che spazza via il torpore di una città che trasuda noie secolari.

Vorrei carpire il tuo intimo mistero,

l’essenza della tua eterna metamorfosi

per lasciare immutato il tuo imperituro stato nascente

per annullarmi in esso

e scomparire per sempre via da qui

e approdare nel nostro fatato olimpo idilliaco

che risiede solo nei miei sogni.


L’ala del rapace

 

Ubriaca di malinconia

Avanzo come un’equilibrista sul filo

A un passo dall’abisso

Persa nell’incognita dei nostri sogni

Perennemente in bilico tra l’essere e il divenire

Nel tentativo incessante e bambino di acciuffare un lembo della tua ala

su cui mi piacerebbe adagiarmi.

Rapace in volo senza meta

Voluttuoso e possente

Spavaldo e turgido.

Le tue penne sono la mia poesia

Che spazza via il torpore di una città che trasuda noie secolari.

Vorrei carpire il tuo intimo mistero,

l’essenza della tua eterna metamorfosi

per lasciare immutato il tuo imperituro stato nascente

per annullarmi in esso

e scomparire per sempre via da qui

e approdare nel nostro fatato olimpo idilliaco

che risiede solo nei miei sogni.

Monday, November 16, 2015

Nomadi digitali: specchio di un mondo “in fuga” – Internetmania: effetti e dipendenze

“Ci sono cose conosciute e cose sconosciute: fra queste vi sono delle porte. Le porte della percezione che aprono all’infinito”diceva William Blake.

Internetmania è un libro dalla portata dirompente perché esce fuori da ogni palinsesto e preformattazione costituita e imposta per corrodere altari di vanaglorie e futilità. Il nuovo libro di Nando Minnella mette alla berlina internet e l’instant messaging come l’estremo rampollo del progresso tecnologico delle società c.d. civilizzate che ormai danno solo largo spazio a frammentazioni, disconnessioni orgasmiche deviate del tutto e subito. Dietro tanto rumore c’è un problematico dubbio di comunicazione. Dietro tanto parlare e perdersi di informazioni e big data, in questo grande sfogatoio multimediale c’è una reale volontà di darsi e ricevere? c’è una cultura dello scambio? A quali bisogni sopperisce l’affidarsi a questo strumento informatico?

Siamo una civiltà di nomadi, di “naufraghi mentali, scippati del futuro, condizionati dall’eterno presente”, eterni transeunti catturati dal mistero dell’ignoto, alla ricerca di noi, di altro da noi, di improbabili “fattori x” che ci illuminino su parti del nostro sè che abbiamo oscurato a lungo o che ci portano a dipanare matasse accumulate nel tempo. Siamo inconsapevoli Peter pan eterni nell’inconsapevolezza di aver ucciso il bambino che vive dentro di noi. Ma alla ciclicità, alla cultura del reale progresso, quello che arricchisce interiormente e fa accrescere il nostro benessere psico-fisico ed emozionale, si sono sostituiti andamenti schizofrenici, vivendo il brivido di eccitanti altezze  per sprofondare poi in voragini abissali  e incespicare in perigliose rotture del sistema. Siamo alla debâcle. La morte dell’anima. Non lasciamo vivere più le nostre emozioni crogiolandoci in platinati idilli di felicità fulminee. Non ci si scava più dentro, siamo incapaci di vivere dentro noi stessi (solo in inglese si dice alone, all one, tutti uno). Viviamo e ci relazioniamo digitando,  contattiamo ciò che “viaggia”. L’epoca dei nomadi digitali e il nuovo  boom economico sono specchio di un mondo ”in fuga”.  Ma siamo realmente capaci di darci all’altro o forse ricerchiamo solo un ideale di noi stessi e rifiutiamo i rapporti reali per mascherare dietro un monitor o un cellulare esclusivamente le nostre pulsioni, i nostri bisogni dimenticando che ognuno è un universo a sè stante da esplorare e con cui relazionarsi? Abbiamo realmente conservata intatta la capacità di uscire per poi rientrare, di avere dei filtri semipermeabili nella comunicazione per essere sempre presenti a noi stessi? Gli altri siamo noi. Siamo tutti carcerati dell’altro nel momento in cui non lo lasciamo vivere nella nostra interiorità e che stentiamo ad accettare, in continua metabolizzazione di cio’ che e’ diverso e difficilmente comprensibile e collimabile con la nostra personalità e la ricerca di una placentica simiglianza. L’enfer c’est l’autres. L’altro ci fa paura, il diverso perché incarna l’ombra non vista di noi stessi, le bestie oscure interiori che non abbiamo imparato a conoscere.

La rivoluzione tecnologica ha scombussolato il nostro modus vivendi proiettandoci in fredde surrealtà nell’infantile illusione che ci possa essere da surrogato o soddisfare i bisogni che non sappiamo vedere, riconoscere, appagare nelle nostre bieche esistenze. E’ una generazione sospesa, che vive in bilico. Si è in contatto sempre con tutti in ogni momento, in realtà con nessuno, tutto si ferma in superficie, tutto si riduce ad essere uno sfogatoio collettivo. Non c’è più la capacità di ascolto. Il vuoto resta. Ecco che nascono fobie, disturbi ossessivi-compulsivi, maniacalità.

La web mania e il feticismo tecnologico sono sintomatologia di un malessere di una società liquida. Vuoto dell’anima e culto dell’evasione.

L’internetmania è un fenomeno che accettiamo o che rigettiamo? si questiona sulle involuzioni o sulle evoluzioni che esso ha portato ma è innegabile che non possiamo più farne a meno, schiavi come siamo del tempo e dei ritmi veloci delle nostre società capitalistiche e degli indiscutibili vantaggi che esso ha portato per contingenze pratiche in questi termini e quello dell’abbattimento dei costi. Internet risponde perfettamente alle nostre esigenze in un sistema malato e i social e gli smartphone sono fonte di alienazione e dipendenza che hanno assunto una valenza affettiva, inerente “la sfera dell’essere” relazionale e individuale. S’ingrossa sempre più l’esercito di cercatori di una felicità artefatta quanto aleatoria.  Gli scenari aperti dal web investono quasi tutti gli ambiti delle attività umane, rivoluzionano i processi di comunicazione e introducono nuovi modelli esperienziali, relazionali e cognitivi.

Quello che si discute è la reale capacità di comunicare e mettersi davvero in gioco e in relazione. Il linguaggio è ridotto ai minimi termini ed è eliminata la grammatica del linguaggio non verbale somatico-gestuale. Il fenomeno dell'alessitimia, dal greco “a-” privativa, mancanza, “lexis” parola e “thymos” emozione: letteralmente «non avere le parole per le emozioni», che  in psicologia costituisce un deficit della consapevolezza emotiva, palesato dall'incapacità di mentalizzare, percepire, riconoscere e descrivere verbalmente i propri e gli altrui stati emotivi, è dilagante. Il tipo di comunicazione instaurata non è solo antisimbolistica, fatta cioè di musicali rievocazioni intuitive di emozioni e sensazioni, muovendosi sulla linea sottile della trascendenza, sul confine tra la realtà e il sogno, ma anche antidialogica. In questo libro-denuncia si intende rafforzare, contro il gregarismo omologante, tutte le voci fuori dal coro che si rifiutano di asservire le reali istanze umane alla mercé dello sciacallaggio e depredamento ipertecnologico.

Si comunica in assenza, si costituiscono rapporti labili, precari, inquinati dall’ipertrofismo edonistico, dal narcisismo digitale, dal culto del proprio io e da modelli consumistici alienanti, “privi di luna e poesia…siamo alla ricerca di eroi e poeti anche solo per un  attimo per i nostri sogni esauriti, marciti”. Si creano avatar o molteplici Man Machine interfaces, si costruiscono personalità fittizie che ci rappresentino e spesso proiettano desideri frustrati in un’epoca in cui lo spazio ci si offre sotto forma di relazioni di dislocazione, il cyberspazio, “una specie di ma­schera che costituisca l’interfaccia fra se stesso e la società, il  dannato e complicato mondo là fuori, si recita a soggetto in un set per le  performance apposta per noi”. ”L’io virtuale – secondo lo psichiatra Pasquale Romeo – a volte assume delle caratteristiche ipertrofiche a tal punto da soppiantare l’Io reale”, incappando cosi in rischi di frammentazione, disgregazione dell’io, disturbi d’instabilità e disregolazione emotiva, fobie, sintomi dissociativi e crisi esistenziali, dipendenza, passando dalla tossicofilia alla tossicomanialità dovuta al bisogno ineludibile di stare sempre connessi e collegati. Il fenomeno è divenuto talmente allarmante che sono sorte le prime cliniche per webtossici dediti ai giochi di ruolo interattivi on line, chat o patiti di social network, gioco d'azzardo, siti porno e quant’altro. Alcuni ragazzi sono così disturbati da divenire aggressivi e, producendo questi ormai divenuti “mezzi sensoriali, estensione delle nostre anime e delle nostre menti”, gli stessi effetti degli alcaloidi, sono ridotti in stato di schiavitù psicofisica con veri e propri sintomi di astinenza. La questione legata a una dipendenza di questo tipo sta nel disordine di una personalità fragile, nell’assenza di un tessuto sociale e culturale capace di accogliere e far crescere. Ed è proprio in queste contraddizioni che i social hanno la meglio supplendo le carenze  e occupando i vuoti che si son creati all’interno dell’individuo e nella società.

Personalità dipendenti e scompartimentate, dunque, in cui ci si spoglia senza veli nei blogs in cui si rivelano anche inconfessabili intimità certi dell’assoluto disinteresse altrui e ci si finge femmes fatales o latin lover di primo rango nelle chat erotiche o “ vetrinizza” nei social networks ingurgitando così il nostro giornaliero intake psicofarmacologico. La dipendenza deriva dal fatto che il web rispecchia esattamente quella sordità emotiva esistente nella realtà ma è uno spazio-discarica in cui ci si appaga facilmente senza correre il rischio di pericolosi rebounds e che ci illude di sfuggire alla solitudine, mettendo in piazza se stessi nella speranza che la pubblicità dia un ascolto, che da un lato odiamo e dall’altro tanto ricerchiamo. La condanna dell’internetmania è una condanna delle storture che il capitalismo ci ha portato e in cui tenta di fagocitarci e la comprensione del malessere profondo che ci fa finire direttamente in mano agli psicologi sperando in poteri taumaturgici nella ricerca du equilibri impossibili per chi non vuole essere "tagliato fuori" da questa società a ingranaggi. E' la risultanza di un mondo che rema contro il sentire della coscienza collettiva. Per di più, si fa preda del nostro disagio e nella convinzione che il web sia gratis senza renderci conto che il privato è pubblico e i nostri dati vengono spiati dal grande Echelon, schedati e manipolati ai fini del webmarketing e dello sfruttamento oligopolisticodella net-economy, delle ricerche di mercato che servono alla produzione di merci e servizi ad hoc del commercio digital-globale mascherato da filantropia.
“Internetmania” di Nando Minnella è espressione di un pensiero critico, vuole essere “diverso”, sovvertire le artificiose reductio ad unum che ci annichiliscono i cervelli e congelano le emozioni,  suggerendo la cultura dello scambio a quello dell’imposizione della cultura dominante che ci viene sapientemente instillata e volgarmente offerta nella promessa di pseudo felicità di paradisi fittizi ma in realtà asserviti al profitto e alle brame utilitaristiche di pochi in una prostrante quanto patetica incensazione del dio denaro. Si è dinnanzi a un’imperante mentalità fallocentrica che mette in crisi i valori dell’esistenza meglio accolti nella figura della donna, nella cultura della ricezione e dell’accoglienza, dell’apertura all’altro contro la cultura della predominanza e della sopraffazione, la presunzione di conoscenze assolute contro la logica del dialogo, del farsi dono di sé con duttile e analitica criticità nel segno della maturazione e della crescita. Sarebbe auspicabile infatti  piuttosto la comprensione e il confronto col diverso, non la sua scissione e frantumazione, con­cepire l’uguaglianza nella diversità e la diversità dell’uguaglianza,  passare dalla civiltà dell’Uno alla civiltà del molteplice.
“L’uguaglianza vive nel rispetto del diverso non nella tirannia degli uguali”.
Sulla base dell’assunto che il Web sia uno strumento sterminato di conoscenza” in cui si annida un guazzabuglio di informazioni da decodificare, selezionare e rielaborare, si ritiene infatti che si siano raggiunte le più alte vette della democrazia, nella considerazione che si raccolga consenso cliccando un “mi piace” e che questo costituisca un “We the people! Si sta deturpando in ogni modo il concetto di bellezza, che sta nel desiderio, nei sogni, nell’armonia, nelle gioie del cuore e della percezione, nell’amore e nell’ascolto…anche dei silenzi. C’è da chiedersi se essa abbia possibilità di salvezza in questo mondo. C’è forse per chi ha speranza in una possibilità di una sua redenzione mentre restiamo assurdamente inerti dinnanzi al deragliamento totale del suo andamento verso altre rotte ed altre direzioni. Che ognuno coltivi questo seme di divinità nell’angusto ambito del proprio particolarismo non basta. E’ piuttosto necessaria una sua trasmissione sempre più reale e concreta, una sua espansione. Si può informare il mondo a canoni di bellezza che riflettano la complessità dei colori dell’anima e l’armonia di una capacità di relazione arricchente e comparativistica, in cui ognuno tenga ben presente che la libertà di ciascuno di noi finisce dove comincia quella dell’altro e rammenti sempre il valore della dignità dell’uomo nel suo tempo e nel suo spazio avendone rispetto.